Il giardino degli aranci - Il confine dei mondi
Trama:
Intrappolata nei mondi paralleli nati dai patti tra persone disperate e una vecchia misteriosa, la strada di Aria e dei suoi compagni verso il loro “vero mondo” si rivelerà sempre più complicata e impegnativa: mancano ancora tre sigilli da aprire, Will si trova sempre intrappolato nel mondo del bosco e i misteri da svelare dietro a quelle realtà artificiose e inquietanti sono ancora tanti… chi è davvero la “vecchia”, e che ruolo ha l’Ombra che si cela dietro di lei? Qual è la vera natura del giardino degli aranci? Ma soprattutto, Aria sarà abbastanza forte da sopportare il dolore che si cela in quei mondi di finti oblio e a portare a termine il suo compito?
L’universo fantasy e distopico inventato da Ilaria Pasqua con “Il mondo di nebbia” e sviluppato in “Il mondo del bosco” trova la sua grandiosa ed emozionante conclusione in “Il confine dei mondi”, parte finale della trilogia “Il giardino degli aranci”. Sei pronto a seguire il viaggio di Aria, Will e Henry fino alla fine?
Anteprima
Capitolo 1
La donna dai lunghi capelli biondi stava attraversando un infinito tunnel buio. Con le mani strette al petto, l’espressione decisa e allo stesso tempo fragile, spingeva un piede dopo l’altro verso la luce, un puntino minuscolo in fondo a quel percorso, all’apparenza interminabile, di ansie.
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Si tirò su a sedere, era umido e quasi buio, rabbrividì. “Dove ci troviamo?”, per un attimo aveva dimenticato ciò che era da poco successo, era rimasta a vagare in quel sogno, quella donna aveva un’aria così familiare, era solo un’impressione, e l’Ombra... era proprio quella che conosceva. Pensò per un attimo che poteva essere la vecchia, ma non può essere, è vecchia, e poi l’Ombra non ha detto che lì non invecchia chi... chi... è destinato? Nessuno è destinato a niente, si disse nervosa tastandosi quel maledetto vestito che ancora aveva addosso. Ma non era quello il momento di pensarci.
“Mi hai sentita? Ho detto che siamo in una cella”. 10
Che mi aspetto da lei? Ha appena perso... non riusciva nemmeno a dirlo, perché pronunciare il suo nome l’avrebbe riportata ancora una volta lì, davanti all’albero in fiamme, tra cadaveri e follia, a quella terribile conclusione. Alla consapevolezza di aver fatto un errore, alla certezza che doveva essere lei e solo lei ad avvicinarsi a quel maledetto tronco e impedire ai suoi amici di morire.
Scosse la testa più di una volta sospirando, il fiato tremava tra le sue labbra, poi alle loro spalle un suono secco ruppe il silenzio. A terra era comparsa una scodella con tre piccoli panini dall’aria malforme. Nessuno di loro aveva fatto caso alla fessura in basso, quella per il cibo a quanto pareva. Aria era stata presa in contropiede, non aveva nemmeno avuto il tempo di chiamare il loro carceriere, di cercare un qualche dialogo, era ancora scossa, e moriva di fame. Così raccolse la scodella, e con lo stomaco brontolante, un brontolio che non riusciva a nascondere, si avvicinò a Henry che sorrise, “Prendi prima tu, Aria”.
Aria pensava invece a loro quattro, seduti al parco intorno al vecchio tronco, a dipingere e pranzare, sotto il caldo sole d’agosto, o a gennaio, quando faceva così freddo che il tronco era ghiacciato e tutt’intorno era bianco, così bianco che i confini delle cose sbiadivano. Per loro ogni occasione era buona per dirigersi al parco, se si concentrava poteva sentirne ancora l’odore. Chiuse solo un attimo gli occhi, si sentiva agitata, e sapeva che Henry l’avrebbe percepito solo con un colpo d’occhio, doveva calmarsi. Osservò con gli occhi della sua mente il giardino, respirò a fondo i profumi, ricordò con precisione il lago, proprio al centro del parco, era bellissimo seguire la fila di fiori ai margini della strada sterrata e ritrovarsi lì. E nei giorni di temporale era ancora più emozionante. I fulmini dividevano in due il cielo e il lago sembrava inghiottirli, così come faceva con le gocce che puntellavano la sua superficie. Uno spettacolo indimenticabile. Chissà se a qualcuno piaceva quanto piaceva a lei? Henry trovava abbastanza inquietante che Aria fosse attratta da una cosa del genere, ma lei non se ne preoccupava, le metteva tranquillità. In quei momenti pensava a quanto fosse forte la natura, e che favore faceva a lasciar vivere lì gli esseri umani insieme a lei. E poi... erano ottimi soggetti per i dipinti.
Il panino era integrale, carico di cereali. Non li amava molto integrali, preferiva quelli classici, su cui si poteva spalmare una gran quantità di burro senza sentire il sapore dei semini in bocca, ma quello, stranamente, non le dispiaceva. Forse a pensarlo non era tanto lei ma il suo stomaco. Una volta mangiato avrebbe avuto forse la lucidità giusta per capire la situazione e fare qualcosa di utile, sentirsi di nuovo importante, ora non ci riusciva, era troppo scossa, e lo stesso valeva per i suoi compagni di viaggio. Henry continuava a tastare il muro, pensando a tutt’altro, fissava fuori da quella piccola finestra sbarrata con occhi incerti, stringendo con forza il bordo della brandina.
“Mary”, chiamò Aria conciliante, ma non rispose, così iniziò prima lei. Si sfilò il vestito strappato con un mormorio di soddisfazione, si lavò per quanto poteva, sciacquandosi il viso per rinfrescare i pensieri, poi si infilò il paio di pantaloni di stoffa leggera e una maglia bianca e larga.
Quando i fruscii finirono, Mary si avvicinò e iniziò a cambiarsi, come se Aria non esistesse. La cosa fece alla ragazza uno strano effetto. Poi fu il torno di Henry. Aria e Mary presero a fissare la porta, pensando entrambe che quel mondo doveva essere un posto povero, o forse era semplicemente questo il trattamento che veniva riservato ai prigionieri. Ma loro che razza di prigionieri erano?
Nello stesso momento in cui Henry finì di vestirsi, l’omone entrò come se lo avesse saputo, e fece segno ai tre di seguirlo. Il mingherlino chiudeva la fila, mentre loro seguivano la guardia lenta e goffa lungo un intrigo di corridoi apparentemente mal costruiti, e mal gestiti.
Si ritrovarono in uno spiazzo di terra scura, circondati dai cittadini di quel nuovo mondo, forse poco avanzato, di nuovo. Alcuni stringevano delle asce. Poi lo notò, al centro dello spiazzo c’era un piccolo trono in ferro battuto dall’aria molto pesante. Quattro uomini robusti ai suoi lati, e un ometto anziano in piedi, con un grande anello sul dito.
Allungò lo sguardo oltre lo spiazzo, e si dovette subito ricredere sulle primissime intenzioni. Vide molte case sparpagliate, o immaginava fossero case, erano cubi grigi scuri dall’aspetto rigido, su un lato si aprivano delle piccole finestre, dall’altro nulla, una parete liscia. Questi cubi erano posti in piano, non c’erano montagne o colline. Era una vasta, piatta terra dall’aria poco ospitale. Non c’erano campi, frutti o verdure ovunque, come nel mondo di Merrick, era perlopiù brullo, e poco adatto a sopravvivere. Almeno quella era l’impressione che Aria aveva avuto prima che l’uomo accanto al trono non la distraesse da queste considerazioni, richiamando la sua attenzione. Lo fissò poi si accorse che era rimasto in piedi.
Aria poggiò gli occhi sul trono e vide all’improvviso un... ragazzino seduto comodo e sicuro, quasi annoiato. Il mento poggiato su una mano.
La fissava con la testa reclinata come se la stesse studiando, o lo avesse appena fatto. I capelli castani a caschetto, gli occhi piccoli e curiosi, vestito con una tunica bianca e un paio di sandali. Ad Aria fece una strana impressione. Si avvicinò con sicurezza mentre la gente intorno continuava a mormorare incuriosita e spaventata, forse pensando che potessero essere pericolosi. Si stringevano intorno a quel ragazzino e Aria a ogni passo perdeva determinazione. Le faceva uno strano effetto. Henry la seguì, mentre Mary restò immobile a braccia incrociate. Aria aveva visto in prima fila un altro ragazzino biondo che la fissava con un’intensità diversa, dietro a lui una donna dai capelli castani. Li osservò entrambi e ne fu certa: li aveva già incontrati.
“Non ancora”, mormorò il ragazzino senza nome sorpassandolo con calma, “Non ancora” poi si avviò verso uno dei cubi grigi che riempivano il paesaggio d’inquietudine. Il vecchio si affrettò a seguirlo.
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“Oltre a questo allora...” iniziò Henry.