Noi (J. Peele, Usa 2019)
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“Siamo americani”
Trama:
1986 - Una bambina, Adelaide, scappa al controllo dei genitori durante una serata al Luna Park, e sulla spiaggia entra nella casa degli specchi dove si imbatte in un’altra sé…
Ai giorni nostri, Adelaide, una strepitosa Lupita Nyong'o, ormai cresciuta, torna nella casa dell’infanzia insieme a suo marito e ai suoi due figli, e subito le torna in mente il suo trauma infantile. Se non bastasse, quando cala l’oscurità, la famiglia si ritrova sul vialetto di casa quattro figure che sembrano essere i loro sosia…
Jordan Peele sa come sorprendere. Dopo l’acclamatissimo Get Out, che ha vinto l’Oscar alla migliore sceneggiatura originale, torna con questo Noi, horror politico potente ma sicuramente non perfetto.
Siamo nel 1986, uno spot pubblicizza l’iniziativa di beneficienza “Hands Across America” e la piccola Adelaide osserva colpita questa catena umana di persone che si tengono per mano per combattere la miseria.
Da questa prima, potente scena che mostra una America affascinante e solidale, con un esperimento sociale che andrà incontro ad un annunciato fallimento, Adelaide si ritrova al Luna Park, a entrare nella casa degli specchi dove incontrerà il suo doppio.
Da quel rimosso, da quella voragine aperta durante l’infanzia, Jordan Peele scatena il peggior nemico di tutti: noi stessi.
Sicuramente più ambizioso, Noi si mostra stratificato, pieno di riferimenti e allegorie non tutte facili da cogliere, condotte sapientemente e con grande personalità dal regista.
I temi sono tantissimi, ed è forse questo il difetto principale: il sovraffollamento. Dalla vita dei neri negli Stati Uniti, già affrontato in modo completo in Get Out, al divario tra bianchi e neri, tra povertà e ricchezza, ben rappresentato nella splendida e intensa scena del balletto delle due Adelaide. L’Adelaide che balla sul palco e quella in catene, costretta a danzare in prigionia, in spazi stretti, intrappolata ma pronta a volare.
Questo è anche, e non solo, un film sulla lotta di classe, sulla rivoluzione proletaria mascherata simbolicamente. È la storia di una ribellione contro qualsiasi egoismo. È tutto un groviglio di rimandi e simboli, un gioco di specchi, di opposizioni e immagini suggestive che colpiscono nel segno, passando dalla commedia intelligente ai migliori horror (in questo caso, come detto, politico), con una colonna sonora pungente, allo stesso modo dei dialoghi.
In questa corsa della protagonista, e di riflesso di tutta la famiglia, a sconfiggere ed affrontare gli incubi del proprio passato, più volte si rovesciano i ruoli, si prendono strade inaspettate. E da una famiglia, la questione di questi NOI si allarga, diventando universale e invadendo le strade e le menti degli spettatori.
Questi dopplegänger muti, persi in tunnel sotterranei, costretti a replicare negli spazi angusti quanto avviene sulla superficie, esperimenti falliti ma non fallaci, sognano nonostante tutto, e sognano in grande cercando di sovvertire le gerarchie, tentando di cambiare il loro destino. Sono loro a sembrare gli unici davvero lucidi, quelli che al contrario dei loro doppi in superficie, credono ancora in qualcosa, inseguendo ideali di giustizia contro l’asfissia della nazione, l’intorpidimento dei corpi e delle menti inconsapevoli, in questo caso, complici di un sistema senza rendersene conto.
La battaglia di un’America ombra, nascosta e schiacciata, che aspetta solo di conquistare la luce e ritrovare la voce.
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