Room (L. Abrahamson, Canada/Irlanda 2015)
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Una giovane donna vive da anni rinchiusa all’interno di una stanza. È stata rapita da un uomo che la tiene prigioniera. Però non è sola, con lei c’è il figlio di appena 5 anni.
Se il film precedente di Lenny Abrahamson, Frank, mi era piaciuto, questo mi è strapiaciuto.
Il piccolo Jack pensa che il mondo sia quella stanza, che non ci sia altro oltre le pareti, giusto lo Spazio. Vive guardando la tv “magica” e usando l’immaginazione per compensare ciò che non crede esista. Con la mamma passa anche momenti felici, è lei che con forza e coraggio riesce a proteggerlo dalla situazione in cui si trovano. Lui non sa nulla, sa solo che a una certa ora della sera, quando il timer suona, deve rinchiudersi nell’armadio e aspettare che il vecchio Nick se ne vada.
Così i due prigionieri sono costretti a contare sul loro aguzzino per sopravvivere. Aspettano le provviste e i cosiddetti “regali della domenica”. Ma' non si ribella, non può ritrovarsi senza cibo, senza elettricità, come potrebbero poi sopravvivere?
La prima ora va così, siamo chiusi nella Stanza insieme a loro, proviamo quel senso di claustrofobia che più di una volta mozza il fiato. Ci immedesimiamo in Jack e poi nella madre, e poi di nuovo in Jack, vedendo il piccolo mondo che li circonda con il suo sguardo.
Lo spazio di Room non è solo materiale ma soprattutto interiore. Brie Larson è brava da togliere il respiro, riesce a interiorizzare il dramma, a rendere la vita leggera, e persino divertente, per suo figlio. L’intensità del suo amore di madre è potentissimo, e lo spettatore ne resta travolto, sconvolto. Il loro legame quasi simbiotico, fatto di sguardi e parole, la sintonia profonda, sentimentale e fisica, è ciò che rende questo film splendido. Anche Jacob Tremblay è a dir poco stupefacente, dolce, ingenuo, coraggioso, forte, la sua trasformazione, evoluzione, è riuscita e coinvolgente.
Quando il suo personaggio, Jack, inizia a crescere e a fare domande, Ma' è costretta a trovare delle risposte diverse, a svelare la verità. Torna anche a sognare una via di fuga e, trovando l'obiettivo comune della fuga, l’equilibrio della storia inizia a cambiare. Il film si trasforma velocemente in altro. La seconda ora è ambientata al di fuori della stanza. E probabilmente questa parte è persino più violenta e spiazzante della prima.
Dalla claustrofobia si passa a sentimenti di angoscia, rabbia, tristezza. La vita al di fuori della Stanza è paradossalmente molto più difficile, perché lì tutto è andato avanti e loro vengono del tutto travolti dall'esterno, ma soprattutto dall'interno.
E se Jack deve imparare a conoscere un mondo sterminato e pieno di cose, colori, persone vere, proprio come lui, Ma', di nuovo libera, deve accettare di aver perso anni di esistenza, e tornare a capire cosa vuol dire libertà.
Room riesce a parlare di una storia drammatica senza essere morboso o strappalacrime, decide di focalizzarsi più sul rapporto madre-figlio e sulle ferite che un evento del genere lascia sulla psiche. Misurato, attento, sensibile, sobrio, questo è decisamente un film che lascia il segno.
Da brividi la scena della fuga di Jack, il suo primo sguardo sul mondo attraverso un oblò. Ho trattenuto il fiato fino quasi a scomparire nelle immagini. Davvero una grande esperienza di cinema.
Trailer italiano:
Trailer originale:
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Categories: - Maggio 2016