Starry Night (F. Leoni, 2013)
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"Perché è la meraviglia che ha dato inizio alle cose, la magia che ha colmato l’assenza. Ecco: certe storie si raccontano da un’assenza. Sono sagome cave dentro custodie vuote, forme abbandonate che dicono 'violino', oppure 'fucile'."
Recensire questo libro non è stato semplice. Mi sono sentita tramortita dalle emozioni a lungo, ma ora sono pronta per parlarne.
Filippo è un diciottenne come tanti altri che vive in una Roma dalle mille facce. È la presenza di suo nonno che ammira profondamente a guidarlo, e allo stesso tempo confonderlo, mentre cerca di capire qual è la sua strada. Tutto parte da una festa e da un accendino. È infatti durante la festa dei suoi diciotto anni che la sua strada si incrocerà con quella di Sergio, detto Zagana, dando il via a una serie di eventi che sfoceranno in un epilogo tragico.
La prima cosa che mi ha colpita è la facilità dello scrittore nel descrivere stati d’animo che a volte è difficile anche solo sfiorare. E la capacità di evocare immagini nella mente, sensazioni così forti da far venire i brividi.
Ma un altro grande pregio è lo sfondo che poi tanto sfondo non è perché interagisce, forgia la storia. Roma non è mai stata così viva. Filippo si muove tra le sue strade dandoci perfettamente l’idea di dove si trovi. Ci fa respirare la città.
Poi ci sono i suoi personaggi, Filippo e il suo mare di dubbi, Sergio e i suoi piccoli traffici senza nessuna soluzione, e infine Greta, forte e fragile insieme.
Tassello dopo tassello la storia prende una forma compiuta, si ricollega a quell’incipit che parla d’assenza. Perché sì, è una storia di assenze, ma “scomparire non è come non esserci mai stati […] e il modo in cui io lo ricordo e lo racconto dipende da me, ma non solo. […] io vivo con la sua assenza."
Starry Night dà vita anche a un gigantesco affresco che parla di gioventù “bruciate” e allo sbando, e che cerca di trovare una risposta a una domanda: quando scompariamo, che segno lasciamo nell’esistenza degli altri e sul mondo in cui abbiamo vissuto?
Sono moltissimi i riferimenti a Van Gogh, non a caso il titolo del libro è quello del celebre quadro del pittore, e alla Dolce Vita di Fellini che scorre in parallelo alla vita in cui Filippo è affondato: quella delle feste dei quartieri ricchi. Ma anche la musica, e la letteratura, e tutto ciò che Filippo cerca di usare come bussola in quel momento dell'esistenza in cui si è ancora immersi in una profonda confusione.
È tutto così vivido e preciso da sembrare autobiografico. Forse è merito soprattutto di una scrittura scorrevole e mai banale che affascina e avvince.
Vi lascio con un’ultima citazione:
"La vita degli uomini ha poco a che fare con lo spazio e con il tempo: ogni uomo è una storia, e le storie contano per come le racconti e durano più in là dei loro protagonisti. È la narrazione la dimensione umana dell’esistenza."
Incipit:
Prologo
L'odore della pioggia
Anche annusare la pioggia è un'indagine sul vuoto.
Affacciato alla finestra annuso un profumo che non esiste, o esiste solo nella mia mente, come forse tutte le cose che ho visto e come gli occhi che ho usato per guardarle. Vorrei avere ancora a disposizione abbastanza meraviglia da sentire l'odore della pioggia con lo stupore della prima volta. Perchè è la meraviglia che ha dato inizio alle cose, la magia che ha colmato l'assenza. Ecco: certe storie si raccontano a partire da un'assenza. Sono sagome cave dentro custodie vuote, forme abbandonate che dicono "violino", oppure "fucile".
Categories: - Agosto 2014