La libreria del buon romanzo (L. Cosse', 2009)
|
"...il nonno mi ha lasciato molto di più, mi ha lasciato l’amore per la letteratura e un’altra cosa fondamentale, la convinzione che la letteratura sia importante. Ne parlava spesso. La letteratura è fonte di piacere, diceva, è una delle rare gioie inestinguibili, e non solo. Non deve essere separata dalla realtà. Nella letteratura c’è tutto"
Mi ero informata pochissimo su questo libro che poi ho lasciato sullo scaffale per quasi due anni. Mi sono decisa a leggerlo solo ora, e sono rimasta sorpresa, non so bene se in positivo o in negativo, ciò che è sicuro è che mi aspettavo tutt’altro. Ma non mi è dispiaciuto troppo.
Il libro inizia con degli attentati a catena a tre personaggi, per poi spostarsi sui due protagonisti principali: Ivan e Francesca.
I due s’incontrano per caso, e dal loro amore per i libri nasce un’idea all’apparenza folle: aprire una libreria solo con buoni romanzi. Quelli che fanno vibrare l’anima, che sono indispensabili per la vita di chiunque. Una libreria ideale in cui il guadagno non è importante quanto il possedere un buon libro, solo ed esclusivamente la qualità.
Sembrano intendersi alla perfezione, le decisioni vengono prese con grande scioltezza e tranquillità, senza nessun intoppo: mettono in piedi un comitato di otto scrittori che non si conoscono, i quali stileranno liste di almeno trecento volumi l’anno, arredano un locale e si buttano, aprendo: Al Buon Romanzo. La libreria dei sogni, la libreria che tutti vorrebbero avere nella propria città.
Ma i problemi si riveleranno man mano sempre più imponenti.
I due sono felici di come stanno andando le cose: la libreria è un completo successo, un successo inaspettato per tutti. Soprattutto per chi è nel giro, come editori, giornalisti e tutti quelli che Al buon romanzo sta finendo per danneggiare. I due protagonisti scatenano un odio che non avrebbero mai potuto nemmeno immaginare.
Entrambi hanno alle spalle un passato difficile. Il libraio da sempre, Ivan sente finalmente di aver trovato il suo posto, e Francesca, la malinconica ereditiera, era da anni alla ricerca del riscatto e del modo migliore per utilizzare la sua eredità per rendere così omaggio a suo nonno.
Quando gli attacchi verso la libreria iniziano a farsi sempre più aggressivi, gettando nel fango anche la loro vita privata, insomma, quando il gioco inizia a farsi pericoloso, i due decidono di rivolgersi alla polizia. Sarà Heffner a condurre le indagini e riuscirà a risolvere l’enigma che all’inizio sembrava indecifrabile. E fra mille vicissitudini, speranze, tradimenti ed eventi tragici, alla fine la cultura, il buon romanzo, trionferà su chi voleva affossarlo, la libreria Al buon romanzo trionferà sulla mediocrità e sull'invidia dei suoi avversari, donando un lieto fine come ci si aspetta.
Il libro è una piacevole lettura ma niente di più purtroppo. La francese Laurence Cossé presenta una storia che sulle prime sembra un giallo, per poi cambiare rotta di colpo. È chiaro il messaggio d'amore per la letteratura, l’intero romanzo sembra parlare di una sola vittima, proprio la letteratura. La buona letteratura, che viene calpestata, ignorata, divorata dall’industria editoriale votata al consumismo più estremo.
La scrittura non mi ha entusiasmata, è scritto bene ma spesso mi sembra che la narrazione si inceppi, effetto non voluto ovviamente... però un po' fastidioso.
L’idea è molto buona, ma secondo me avrebbe potuto fare molto di più. Il libro finisce per essere “né carne, né pesce”, non ha una sua identità precisa, infatti, non è un giallo, non è un romanzo di formazione, non è un romanzo d'amore, insomma, di preciso cos’è? Un inno alla buona letteratura. Una storia infarcita di titoli e autori. Piacevole da leggere, ma senza un esagerato entusiasmo.
Mi è piaciuta tantissimo questa parte (vera e propria dichiarazione d'amore verso la buona letteratura):
Vogliamo dei libri necessari, libri che si possano leggere all'indomani di un funerale quando per il troppo pianto non ci sono più lacrime, quando non ci si regge più in piedi, inceneriti dal dolore; libri che siano come parenti stretti dopo aver messo a posto la camera del figlio morto, dopo aver ricopiato i suoi diari per averli sempre con sé, dopo aver respirato mille volte i suoi vestiti nell'armadio, quando non c'è altro da fare;
libri per le notti in cui, malgrado lo sfinimento, non si riesce a dormire e si desidera solo liberarsi delle visioni ossessive;
libri che abbiano un peso e che non vengano abbandonati Vogliamo libri scritti per noi che dubitiamo di tutto, che piangiamo per un niente, che sobbalziamo per un ogni minimo rumore alle spalle.
Vogliamo libri che al loro autore siano costati molto, libri in cui si siano depositati i suoi anni di lavoro, il suo mal di schiena, i suoi punti morti, qualche volta il suo panico all’idea di perdersi, il suo scoraggiamento, il suo coraggio, la sua angoscia, la sua tenacia, il rischio che si è assunto di sbagliare.
Vogliamo libri splendidi che ci tuffino nello splendore del reale e li’ ci tengano avvinti; libri che ci provino come l’amore sia all’opera nel mondo accanto al male e totalmente contro di lui, anche se talvolta non si capisce, e che lo sia sempre, tanto quanto il dolore lacererà sempre i nostri cuori. Vogliamo libri che non ignorino niente della tragedia umana, niente delle meraviglie quotidiane, libri che ci facciano tornare l’aria nei polmoni. Non vogliamo altro.
“Ma il nonno mi ha lasciato molto di più, mi ha lasciato l’amore per la letteratura e un’altra cosa fondamentale, la convinzione che la letteratura sia importante. Ne parlava spesso. La letteratura è fonte di piacere, diceva, è una delle rare gioie inestinguibili, e non solo. Non deve essere separata dalla realtà. Nella letteratura c’è tutto. E’ il motivo per cui non uso mai la parola finzione. La materia dei libri è costituita dalle sottigliezze della vita. Insisteva: hai capito che sto parlando del romanzo? Non ci sono solo le situazioni eccezionali nei romanzi, le questioni di vita o di morte e le grandi prove, ci sono anche le difficoltà ordinarie, le tentazioni, le delusioni banali. E rispondono a tutte le attitudini umane, a tutti i comportamenti, dal più nobile al più miserabile. Uno legge e si domanda: cosa avrei fatto io? Deve domandarselo. Ascoltami bene: è un modo di imparare a vivere. Certi adulti ti diranno di no, che la letteratura non è la vita, che i romanzi non insegnano niente. Sbagliano. La letteratura informa, istruisce, addestra.”
Incipit:
Il meno che si possa dire è che la scomparsa di Paul Néon passò inosservata non solo nel cantone di Biot, dove sembrava che si fosse sistemato, ma addirittura a Crets, striminzito paesino di cui occupava la casa più lontana.
Paul rovinò su uno spesso tappeto di foglie marche a valle del sentiero forestale su cui presumibilmente barcollava già da un po’ (dieci giorni dopo, il giovane Jules Reveriaz trovò la sua sciarpa sul bordo del viottolo, a quindici metri dal punto in cui era caduto). Due o tre rami secchi si spezzarono sotto il suo peso. Tornato il silenzio, ci fu una vibrazione di un istante. Le foglie nere, assestandosi, emisero un sibilo di quelli che i ragni d’acqua sono i soli a sentire quando per esempio un gatto, immobile e con il collo teso sulla riva di uno stagno, dopo aver scrutato per vari minuti l’oscurità si corica sul muschio. Erano le dieci di sera. Una falce di luna, velata dalla foschia, illuminava la notte quel poco che bastava a distinguere il sentiero.
Adattamenti cinematografici: no
Categories: - Giugno 2013