Il Petroliere - There Will Be Blood (P.T. Anderson, Usa, 2008)
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“Io sono un falso profeta. Dio è una superstizione”
Il cercatore d’argento in crisi Daniel Plainview scopre in una delle sue miniere un giacimento di petrolio e decide di reinventarsi come cercatore di petrolio.
Siamo agli inizi del ‘900, in un momento in cui le trivellazioni del terreno in cerca di petrolio sono una cosa nuova, un’attività dalle mille possibilità di profitto. Daniel, cinico per natura, si butterà a capo fitto acquistando per pochi soldi, pezzi di terra dai pionieri. E ci vedrà giusto, perché continuerà ad arricchirsi senza più riuscire a fermarsi, sfruttando anche il suo figlio piccolo, in realtà orfanello, per commuovere e nascondere la sua totale mancanza di compassione.
Un giorno un ragazzo misterioso va a bussare alla sua porta e iniziano i guai. Paul sostiene di aver scoperto del petrolio nella proprietà della sua famiglia, e Daniel spinto da quell’ambizione e avidità che lo contraddistingue si spingerà fin nel paese del ragazzo, ma sarà costretto, per poter trivellare, a scendere a patti con le personalità più influenti della cittadina, una delle quali è il carismatico predicatore della chiesa della “terza rivelazione”, Eli.
Ma il rapporto tra loro si rivelerà quasi impossibile, e costringerà Daniel a scontrarsi con le sue mancanze.
Eli è un personaggio altrettanto negativo, viscido, antipatico, persino peggiore del Petroliere che si farà beffe di lui in continuazione con la sua arroganza infinita e l’atteggiamento di superiorità. Eppure, nonostante Daniel sia proprio odioso, ci si riesce a immedesimare in lui, soprattutto nelle scene in cui Eli è presente. Immaginatevi voi quanto possa essere odioso questo antagonista.
È la lotta tra due uomini che rappresentano due figure opposte e portanti della società, è il potere economico contro il potere spirituale. Due personaggi opposti Daniel e Eli, ma in realtà identici; con la stessa fame di denaro, la stessa volontà ferrea di primeggiare che fa sprofondare le loro anime nel buio, lasciandoli soli con la loro ossessione. È proprio questo, la volontà di primeggiare, l’invidia e il disprezzo che Daniel prova per il prossimo a spingerlo a un isolamento sempre più malato e senza via d’uscita. Solo e senza legami, l’unico rapporto che ha è con la nuda terra, che distrugge e trivella, pieno di rimpianti celati per una vita che non ha mai avuto, una vita negata, assente, e per questo ancora più ingombrante. Rabbia per ciò che è diventato, fino allo sfogo finale. Al raggiungimento di una soddisfazione vuota e inutile, che non lascia nulla. “Ho finito”, dice Daniel al maggiordomo. “Ho finito”.
P.T. Anderson costruisce un’opera monumentale, cruda e affascinante, curata nei minimi dettagli, in cui la macchina da presa si muove leggera, senza particolari artifici retorici, senza salti, per lasciare spazio al suo vero protagonista, senza abbandonarlo neanche per un istante. Una regia di classe infarcita di citazioni, pura arte. E non ci si poteva aspettare di meglio da lui, un uomo la cui ambizione l’ha portato a girare solo cinque film in vent’anni. Un uomo che a soli 29 anni stringeva già il primo Orso d'Oro grazie al suo Magnolia.
Paul Thomas Anderson è padrone indiscusso della sua macchina da presa e grande, risoluto, raffinato narratore di storie.
There will be blood è a mio parere un capolavoro, anche se imperfetto. La storia di questo protagonista così sgradevole, uno dei più sgradevoli in assoluto, che si snoda in questa America polverosa, tra carne, sangue, sudore e un petrolio vivo, coprotagonista silenzioso assieme alla natura, rimarrà nella lista dei migliori film della storia del cinema a lungo. E forse, invecchiando, avrà la possibilità di mostrare con maggiore forza le sue mille facce e la sua grandezza. Se ce ne fosse ancora bisogno.
Nel scrivere questa recensione ho provato le stesse sensazioni della visione: quel groviglio di emozioni e sensazioni, di tensione crescente che mi ha tenuta legata allo schermo, senza fiato. Merito anche di un’interpretazione magistrale, di quegli sguardi penetranti di quel mostro sacro di Daniel Day-Lewis.
Il finale in particolare è un pezzo di storia. La perfezione, l’apoteosi. Un incredibile, improvvisa, spiazzante, discesa in picchiata all’inferno, dove Daniel Plainview affronta l’altra faccia della sua stessa medaglia.
Vi linko la parte finale del finale, ma se non volete rovinarvi il film, saltatela!
"Voglio guadagnare così tanto da stare lontano da tutti "
Trailer italiano:
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Trailer originale:
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Il film ha vinto due Oscar 2008: migliore attore protagonista a Daniel Day-Lewis (secondo oscar) e miglior fotografia.
Daniel Day-Lewis (perchè si fa prima a elencare i suoi di premi) ha vinto anche: ai Golden Globe 2008, ai SAG Awards 2008, ai LAFCA 2007, ai Critics' Choice Awards 2008, ai BAFTA 2008.
Paul Thomas Anderson ha vinto per la regia: ai LAFCA 2007, e l'Orso d'argento al Festival di Berlino.
Il video della consegna dell'Oscar a Daniel Day-Lewis
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- Magnolia (P.T. Anderson, Usa, 1999)
Categories: - Maggio 2013