Un segno invisibile e mio (A. Bender, 2002)
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"Il giorno del mio ventesimo compleanno mi sono comprata un’ascia. È stato il più bel regalo che avessi avuto da dieci anni a quella parte. Prima di vederla luccicare appesa alla parete del negozio di ferramenta come un amante di legno e acciaio, avevo completamente rinunciato all’idea di festeggiare il mio compleanno. Il giorno del mio diciannovesimo mamma mi aveva sbattuto fuori di casa"
Questo è uno dei libri più particolari ed emozionanti che mi sia capitato di leggere. Ed è diventato anche uno dei miei preferiti, con molta, moltissima facilità. Non è stato il mio primo libro della Bender, ciò che mi aveva infatti convinto a comprare questo era stata l’indimenticabile raccolta di racconti "Grida il mio nome", edita per Einaudi, e da settembre 2012 anche per Minimum Fax, con un altro nome, "La ragazza con la gonna in fiamme" (The Girl in the Flammable Skirt), altrettanto appassionanti. Ma ora voglio parlare solo del magnifico "Un segno invisibile e mio".
Mona Gray è una ventenne confusa. Ama la matematica fino all'ossessione e ha difficoltà a relazionarsi con il mondo intero. Sua madre l'ha buttata fuori di casa per permetterle di costruirsi una vita, eppure proprio in quel momento sembra decidere inconsciamente di rinunciare a vivere i suoi sogni. Si svuota, senza aspettarsi altro che sopravvivere. Suo padre, da alcuni anni, ha contratto una malattia misteriosa che lo fa appassire un giorno dopo l'altro. E Mona non sa far altro che attaccarsi ancora più a ciò che le resta di sicuro, ciò che non l’ha mai abbandonata e che le dà sempre un’immensa tranquillità: i numeri, e i suoi gesti scaramantici, ripetuti e precisi. Tamburella con le nocche sulle superfici degli oggetti, ovunque, in sequenza, come se questo potesse aiutarla a tenere sotto controllo la sua vita. Ma un giorno, casualmente, si ritrova insegnante di aritmetica in una scuola elementare in cui gli studenti sembrano essere problematici quanto lei, se non di più. Sarà il rapporto con un insegnante e quello forte instaurato con uno dei ragazzini, la piccola Lisa, a farla uscire dal guscio, ad aiutarla a rompere quella sequenza di gesti in cui si nasconde. A vivere la vita con slancio, come una ragazza di vent’anni.
Voglio evitare di entrare troppo nello specifico per lasciarvi il gusto di scoprire pagina dopo pagina l’incredibile originalità di questa storia e dei suoi personaggi, e il talento di questa autrice che mette in gioco ancora una volta quelli che sono i suoi temi caldi di sempre: la paura delle malattie e della morte che pende come un’ascia minacciosa sopra le nostre vite, condizionandole. E la voglia di essere visibili al mondo, riconoscibili.
"La gente si accorge solo di quando te ne vai; se resti non se ne accorgono. È come quando si sente davvero un ronzio continuo solo dopo che ha smesso"
La Bender tratteggia un mondo di gente fuori dal comune in cui la normalità non risponde ai criteri di normalità, in cui fiaba e realtà camminano mano nella mano, senza ostacolarsi. Ogni pagina è un colpo al cuore, una sorpresa, una gioia. Aimee Bender, poi, scrive magnificamente, perchè è dotata di un tocco leggero ma incisivo, riesce a esporre concetti complessi e delicati con grande semplicità. Questa è una lettura scorrevole ma non per questo banale o meno intensa, anzi, il lettore riesce a vivere i sentimenti, e i turbamenti, dei suoi personaggi in profondità, per quanto bizzarri essi siano.
Io mi sono innamorata di questo libro, letteralmente. È una fiaba tenera e amara, surreale, spiazzante. E non a caso questo genere è chiamato realismo magico. Da scoprire e riscoprire.
Date a Aimee Bender una possibilità!
"Niente piano. Niente dolci. Niente atletica. Niente. Sono innamorata dello smettere. A suo modo è un’ arte , se ci pensate. Smettere bene richiede un innato senso della bellezza; bisogna saper sentire il momento della svolta, proprio quando il desiderio fa la sua comparsa, quello è il momento di darci un taglio, giù deciso, l’istante in cui lo smettere è maturo come una pesca che si fa dolce sull’albero : crack, si spacca il picciolo, la pesca cade per terra, nera e argento di mosche"
L'incipit:
Il giorno del mio ventesimo compleanno mi sono comprata un’ascia.
E’ stato il più bel regalo che avessi avuto da dieci anni a quella parte. Prima di vederla luccicare appesa alla parete del negozio di ferramenta come un amante di legno e acciaio, avevo completamente rinunciato all’idea di festeggiare il mio compleanno.
Il giorno del mio diciannovesimo mamma mi aveva sbattuto fuori di casa.
Il giorno del diciottesimo avevo fatto una festa per due persone. Dopo un’oretta entrambe dissero di avere un’allergia e se ne andarono a casa starnutendo.
Il giorno del diciassettesimo mi ero fatta una torta al cioccolato, ma siccome in realtà non volevo affatto mangiarla avevo aggiunto dell’insetticida all’impasto. Lievitò una meraviglia, meglio che mai, e quando la tirai fuori dal forno – perfetta cupola bruna – rimasi a camminarle intorno per ore, inspirando a pieni polmoni l’aria tiepida di burro. Alcune formiche mangiarono le briciole sulla credenza e schiattarono.
Il giorno del mio sedicesimo compleanno mia zia mi aveva mandato un bel vestito di seta rossa, che aveva il profumo e la delicatezza della faccia interna del polso. Me lo misi sulle ginocchia e, accarezzandolo, cominciai a sfogliare l’elenco telefonico per scegliere il nome di una donna che abitasse ad un indirizzo che contenesse dei 16. poi le spedii il vestito. Il rosso non è il mio colore.
Il giorno del mio quindicesimo, quattordicesimo, tredicesimo, dodicesimo e undicesimo compleanno ero andata a far compere con mamma e ogni anno, alla fine, una delle due si metteva a piangere per lo stress perché a me non piaceva niente, e perché dicevo che in realtà non volevo niente, tranne, forse, un altro libro di esercizi di matematica. Vanno ordinati per corrispondenza. Arrivano da un gran capannone pieno di numeri, nel Sud. Mamma scuoteva la testa: si rifiutava categoricamente di regalarmi per il compleanno qualcosa che avesse a che fare con la matematica, così finiva che mi metteva un po’ di soldi in banca.
L’anno del mio decimo compleanno si era ammalato papà, ed era stato allora che avevo cominciato a smettere.
Adattamenti cinematografici: sì
- An Invisible Sign of My Own (M. Agrelo, Usa, 2010)
Trailer originale:
Se ti è piaciuto Un segno invisibile e mio ti consiglio:
-Grida il mio nome – The girl in the flammable skirt (A. Bender, 1998; Einaudi, 2002; riedizione per Minimum Fax, 2012; riedizione per Einaudi, 2013)
-L’insostenibile leggerezza della torta al limone (A Bender, 2010; Minimum Fax, 2010)
-Creature ostinate (A. Bender, 2006; Minimum Fax, 2006)
-Burned children of America (Autori vari, Minimum Fax, 2000)
-L’odore afrodisiaco del cloro (J. Budnitz, Alet Edizioni, 2009)
Categories: - Maggio 2013